Cosa mangiare in Sardegna: il maialetto

Leggenda narra che Carlo V abbia definito i sardi pocos, locos y malunidos ossia pochi, pazzi e divisi. Che sia vero o meno, una cosa in Sardegna mette tutti d’accordo: no, non è Sant’Efisio, di cui parleremo a breve ma… il maialetto!

A Sassari lo sentirai chiamare poscheddu o porcheddu, nella zona di Olbia polceddu o polcheddu, in provincia di Nuoro coppieddu e procceddu nel Campidano, in italiano maialetto o porcetto (la seconda usala con cautela, non è troppo gradita dai locali!): tanti appellativi per il solo e unico protagonista della cucina tipica sarda. 

Le origini

Da dove nasce la ricetta? In Castiglia uno dei piatti tipici è il maialino, è quindi probabile che la ricetta sarda, seppur diversa da quella castigliana nella preparazione (carne cotta in forno, insaporita con carote, sedano e cipolla), arrivi proprio dal periodo della dominazione spagnola, durato più di due secoli. La popolarità del piatto è relativamente recente: sino a 40 o 50 anni fa, il maialetto era la ricetta delle grandi occasioni, si consumava a Natale oppure a Pasqua, un vero e proprio lusso. Questo perché un maiale costituiva una risorsa economica straordinaria da cui ricavare carne e insaccati, ma ideale anche per essere scambiato o venduto: si può dire che non fosse una rinuncia da fare a cuor leggero!

La preparazione

Abbiamo visto i nomi, la storia, ma ora veniamo al sodo: cosa ci serve e come si prepara?

L’ingrediente principale è ovviamente un maialino: deve essere giovane e pesare non più di di 6-7 kg, alimentato esclusivamente con il latte materno. Prima della cottura deve essere accuratamente lavato, pulito sia internamente che esternamente (si bruciano le setole) e infine asciugato. Il passo successivo consiste nell’insaporire la carne con erbe tipiche come l’alloro, il rosmarino, il timo e soprattutto il mirto. 

A questo punto il maialetto è pronto per la cosiddetta schidonatura, il momento in cui si infila nello spiedo: questo passaggio è fondamentale per ottenere carne tenera e cotenna croccante, quindi la perfetta riuscita della ricetta. 

La cottura

La cottura del maialetto non è un momento passivo: le braci devono essere numerose (e durare almeno dalle due alle quattro ore) e vengono posizionate o spostate in funzione della preparazione, anche lo spiedo ha bisogno di essere girato ogni tanto. È un tipo di cottura indiretto, ciò significa che la carne viene sospesa sullo spiedo alla giusta distanza dalla brace, al fine di evitare che l’eccessiva vicinanza al calore ne rovini la consistenza rendendola troppo secca (anche la salatura non avviene subito, ma a metà del processo).

Lo spiedo può essere posizionato in due modi: in verticale ossia quando i maialetti vengono posizionati uno vicino all’altro (questa è la versione tradizionale, indicata soprattutto per esemplari che superano i 10 chili di peso); in orizzontale, simile a quella dei polli sul girarrosto e ideale per maiali di massimo sei chili. 

Un’altra tipologia di cottura è quella interrata o della sepoltura: sempre meno utilizzata, è tipica della Barbagia e la carne viene cotta scavando nella terra e creando una specie di forno naturale. Il maialetto viene quindi appoggiato nella fossa, insieme a rami di mirto e altre erbe e poi ricoperto da un altro strato di aromi. In questo caso ovviamente i tempi si allungano e il pasto potrebbe non essere gustato prima di sette ore! Questa tipologia di cottura è stata architettata dai banditi, costretti a cucinare in quel modo per non farsi scoprire. 

Il protagonista indiscusso della ricetta è sicuramente il maialetto, non bisogna però dimenticare l’eroe silenzioso che permette di vivere quest’esperienza… l’arrostitore, che deve essere sostenuto per tutte le ore passate a cuocere la carne. 

Come sostenerlo? Vino rosso (anche birra se non è schizzinoso), pane, formaggio e salsiccia in quantità!